lunedì 23 luglio 2012

le melanzane della signora Odilia


Siamo in sei nella Cinquecento abbandonata.
Claudio e Carmelo l’hanno ripulita e adesso è proprietà privata loro.
Hanno fatto un bel lavoro, hanno attaccato anche un adesivo della Juve al finestrino.
Dicono che dentro c’era del giornale sporco di cacca e un sacco di siringhe.
Io ho paura delle siringhe: qui in piazzetta ci sono siringhe dappertutto, ci vengono sempre i drogati a drogarsi e quando hanno finito buttano le siringhe in giro. Quelli educati ci mettono il cappuccio sopra, quelli maleducati le lasciano così e poi noi rischiamo di pungerci e diventare drogati come loro.
Nella Cinquecento si sente ancora puzza di cacca ma io non dico niente, ho paura che se mi lamento poi mi mandano via.
Carmelo e Claudio sono seduti davanti e tirano fuori un giornalino in bianco e nero, tipo Alan Ford ma sopra ci sono dei signori e delle signore disegnati come se fossero veri, che non fanno facce buffe.
Claudio legge la storia.
C’è la signora Odilia che va dal fruttivendolo e compra dei cetrioli dal signor Osvaldo.
Poi va a casa e si spoglia nuda e si mette il cetriolo nel sedere e fa dei versi con gli occhi chiusi.
La signora Odilia va tutti i giorni dal signor Osvaldo e la scena si ripete.
A volte la signora Odilia quando ha il cetriolo nel sedere dice “Osvaldo! Osvaldo! Mmmmh, sì!”
Un giorno il signor Osvaldo ha finito i cetrioli. La signora Odilia compra delle melanzane.
Poi si mette anche la melanzana nel sedere.
La Silvia, che ha dodici anni ed è la più grande di tutti, dice che quello non è il buco del sedere ma quello della pipì. Nessuno le crede, tutti ridono. Rido anche io, la Silvia si arrabbia, nessuno le da retta.
La signora Odilia non riesce più a tirare fuori la melanzana dal sedere, le rimane dentro nella pancia.
La signora Odilia muore.
A me questo giornalino non ha fatto ridere.

lunedì 16 luglio 2012

dimmi una parola. #8 "stringere"


“Stringere. Devo stringertela qui, un po’ sul lato, e spostare un bottone: ci metto due minuti.
Ma tu, intanto, siediti. Dimmi mo’, raccontami qualcosa di bello. Ma sì, qualcosa che mi svaghi mentre cucio. Che poi, “svagare”: mica sono in pensiero mentre cucio, mica ho davvero bisogno di svagarmi: mi rilasso, io, quando cucio! Faccio per dire, svagare. Che a me mi è sempre piaciuto cucire. Beh, sempre sempre poi no: avrei preferito continuare la scuola invece che andare a lavorare. Ho fatto le commerciali, io, eh. Poi però mia sorella l’hanno mandata in sartoria, che a lei non piaceva studiare, che era un po’ sorda lei, e allora quando ha iniziato il lavoro era gelosa che io studiavo e pensava che non facevo niente, a star a casa sui libri, e ci diceva a mia mamma che dovevo lavorare anche io. E quindi poi niente, m’han mandato anche a me in sartoria.
Che poi alla fine è andata bene così eh, non mi lamento mica. Che adesso pare che le donne non sappiano neanche fare più gli orli ai pantaloni e una sarta torna utile.

sabato 14 luglio 2012

come un piccolo bacio


“Grandecompagniadiprenotazionialberghi, buongiorno! Sono Sara, come posso esserle utile?” oppure “Grandecompagniadiprenotazionialberghi, buonasera! Sono Sara, parlo col Signor Tizio Caio?”.
Così, sempre uguale, decine di volte all’ ora, otto ore al giorno. 
Per fortuna la mia scrivania è vicina alla finestra.
Quando rispondo al telefono guardo fuori: il canale grigioverde, le terrazze dei dirimpettai, la barchetta rossa accanto a quella nera e bianca. E immagino.
Immagino la faccia di chi sta dall’altra parte del telefono, le sue dita tozze, le rughe della fronte, le unghie sporche, le pellicine strappate o il french. Immagino ventri rotondi, pelli ustionate dal sole, ventiquattrore, lenzuola da cambiare, frigo pieni, olio solare al cocco, maalox.
A seconda delle voci, dei rumori di sottofondo, degli accenti, delle espressioni utilizzate durante la conversazione, mi figuro cucine economiche, televisori al plasma, uffici senza aria condizionata, scarpe dozzinali, scaffali ikea zeppi di libri, cenere di sigaretta nel piatto tra gli avanzi del pesce, tende del salotto ingiallite, il giro di perle, occhiali con le lenti da cambiare, piercing al labbro, gatti rossi, pappagallini, pannolini da cambiare, bollette del gas, bollette della luce, il bmw in garage, la ricrescita scura sotto il biondo platino, la cera ai pavimenti, la spesa alla coop, le pattine.
Immagino la gente e le loro vite: è una delle cose che più mi piace fare, immaginare.

domenica 20 maggio 2012

noi femmine-maschi


Noi femmine-maschi siamo quelle che con le ragazze non si sono mai trovate a proprio agio, che all’oratorio stavano coi ragazzini a giocare a calcetto o a fare le gare di rutti, perché con loro si divertivano di più, perché sentivano di parlare la loro stessa lingua.
Noi femmine-maschi siamo quelle che mai una gonna, mai un rossetto, mai un filo di trucco perché l’apparenza non conta, perché abbiamo cose più importanti da fare: quali siano queste cose non è dato al mondo di sapere, ma ci sono, noi sembriamo conoscerle perfettamente e ne andiamo ostinatamente fiere.
A noi femmine-maschi gli uomini impegnati raccontano di quando vanno a troie, di quando tradiscono la moglie con la vicina di casa. A volte, siamo noi la vicina di casa.

venerdì 27 aprile 2012

25 aprile: liberaci dal ricordo, amen


“Devono smetterla di parlare della Resistenza e dei partigiani, osannandoli e basta. La Resistenza non è stata di tutti, la Resistenza non è stata di tutta l’Italia!”.
“Ma nonna…”.
“Ci siamo scannati tra vicini di casa, in casa. Ci siamo scannati tra parenti, tra cugini, senza pietà. Siamo diventati delle bestie, tutti,  anche i partigiani”. 

*

“Stavamo sopra in cima a Baruffini, sopra il camposanto,  in quel punto dove la strada curva stretta stretta e c’è una specie di muretto di sassi, là dove si vede tutta la valle che si apre in giù come una cascata. Ero una ragazzina, avevo dieci anni, stavo là con mio zio, un po' accucciata.
I fascisti stanno andando al cimitero zitti, portano un ragazzo a seppellire.
Io e mio zio li guardiamo da sopra, loro non ci vedono.
Mio zio prende la mira con quel fucile speciale che aveva lui, poi spara: ne colpisce due.
I fascisti cadono, van giù come sacchi di patate: tum-tum.
Io salto, grido: “Bravo zio! Due fascisti! Li hai presi!”, come ad essere alla caccia dei fagiani, delle anatre.
Capisci? Io mi vergogno di me, oggi, per quella felicità di allora. Ma cosa vuoi? Adesso, non serve più a niente…”.

lunedì 9 aprile 2012

dimmi una parola. #7 "vampiro"


- Un vampiro: quando scrivo divento un vampiro.
Alle loro spalle ci sta il mare e il lungomare e la gente che fa lo struscio: le donne nei vestiti sguaiati, i passeggini, gli uomini con la camicia nera stirata e profumata.
- Il mio mestiere è rubare la vita: quella di chi mi sta intorno, le parole, i gesti. Mie sono solo le cuciture, gli incastri. I personaggi, le loro battute, i tradimenti, gli amori, le perdite invece no: quella è tutta roba rubata, è tutto un bluff.
Lo ammette fiero e sorridente. Lei è a disagio: come si può affermare con tanta serenità di essere un ladro? Cosa è, cosa mi significa questa cosa del rubare?
- Vuoi un po’? Assaggia. E’ il miglior gelato al limone della città.
E gliene ficca in bocca un cucchiaio.
Lei non è abituata a farsi imboccare. E’ una cosa che la mette in imbarazzo. Se qualcuno prova a infilarle un cucchiaio o una forchetta in bocca, rifiuta con decisione; a lui però, non riesce a dir di no. L’ha imboccata anche al ristorante, poco fa: spontaneo, animato dal desiderio di condividere quello che aveva nel piatto. Anche adesso, come prima, le guance le si infiammano e lei si chiede se da fuori si veda quel rossore che l’abbrucia tutta di dentro.

mercoledì 4 aprile 2012

dimmi una parola. #6 "desiderio"


Di desiderio di filo bianco 
per non perderci nel sonno
ricamammo le nostre palpebre all’interno
coi nomi nostri annodati,
a formare un’unica parola-valigia 
       - abbacinante sfolgorante vivifica
la parola-valigia più fragorosa
la più assordante
la perfetta
quella che esplode i maremoti
disordina i pesci nei mari, le fioriture
e squassa la terra nelle ossa
seminando i monsoni e le cascate al suo risveglio.

Ancora, se chiudo gli occhi oggi,
io ti vedo,
un filo nel buio.
Slegato.


***


La parola di oggi, "desiderio" ci è stata poeticamente offerta da Alice Bianconiglio.

NOTA: è stata Alice a insegnarmi che cosa è una parola-valigia. Una parola-valigia è una parola creata dalla fusione di due parole che hanno in comune un segmento (fonema o lettera). Tipo "Musicassetta". O "Saranocchia". O "Sarallegra". O... insomma, avete capito.

domenica 1 aprile 2012

dimmi una parola. #5 "insonnia"


Insonnia, dicono. Non so se sia insonnia. So solo che non dormo. 
E che mi viene la super-vista, di notte. Pensare, non penso a niente di particolare. A dir la verità, non penso affatto. Guardo il soffitto, gli oggetti intorno a me; durante le ore sottratte al sonno mi sembra di vedere meglio i contorni, le profondità. Se sapessi disegnare, nelle ore notturne farei disegni meravigliosi, rivelati.
Quando di notte non dormo, i fili che tengono insieme la realtà mi si mostrano.
Sembra tutto più chiaro, la notte, come studiare la radiografia di una spalla lussata, come osservare la trama di un tessuto con una lente di ingrandimento. 
Eppure, non è che poi alla mattina io abbia in mano la chiave dell’Universo, no. E’ tutto come prima: la realtà torna ad essere quella di sempre e, anche se mi è dato di conoscere i fili che la costituiscono, non è che questo mi renda migliore, o mi faciliti la vita, no. E’ come sapere quanti semafori ci sono a Manhattan (duemilaottocentoventi). O se i panda hanno il pollice opponibile o meno (ce l’hanno). Non cambia nulla.

mercoledì 21 marzo 2012

dimmi una parola. #4 "nido"


                                                            a Elia, che sa vegliare le parole



Il nido fammi intorno, tu, animale femmina
ch’io possa figliare le mie parole brune
e quelle acquatiche
e quelle delle rondini in svolo, quieta
- la porta del sole serrata
e quella del vento
e delle voci umane tutte, chiuse.
Intrecciamo nidi maestosi
facciamone foreste, altari,
case calde e gialline
ventri piccoli e sodi
da starci dentro annodati.
Poi coprimi, le tue ali grandi 
infinitamente azzurrine,
chiudimi gli occhi
proteggimi
pazienta le mie parole, tu
animale femmina,
tu, sorella mia di cova.


***

La parola "nido" è stata poeticamente offerta da Elia.
Se vuoi anche tu una storia breve, scrivimi la tua parola via email (lasaramandra@gmail.com) o nei commenti qui sotto. 
Ti avviserò quando sarà pronta.

mercoledì 14 marzo 2012

dimmi una parola. #3 "verità"

“Verità! Devi scegliere "verità" ogni tanto!”.
Antonio Puglisi a “obbligo e verità” sceglieva sempre “obbligo”. 
“Perché non scegli mai “verità”, Anto’? Guardati! Ti stai a fare delle figure di merda totali, con questi obblighi, ti stanno a sfottere tutti. E a me pure, mi sfottono, ché sto con te”. 
Alfredo Peluso si agita. Mentre parla, il sudore dalla testa gli cala righe marroni sulle guance e gocce di saliva gli zampillano dalla bocca. 
“Ma tu nel cervello sei tutto marcito o cosa? Un obbligo è solo un obbligo, è una cosa da fare e basta. Non sei tu. Una verità è una cosa tua. Io le cose mie non le condivido per gioco, io manco il pallone ci condivido con quegli scarti di ringhiera”.
“Mado’, Anto’, sei proprio un antico! Puoi anche dire una bugia a “verità”, chi minchia vuoi che se ne accorga? Che poi pure tu abiti alla ringhiera...”.
Non gira neanche la testa, Antonio Puglisi. Gli basta un movimento lento degli occhi, come una frustata di ortiche a rallentatore, e l’amico s'azzitta. Alfredo Peluso abbassa lo sguardo su una crosta del gomito e inizia con l'unghia nera dell'indice un lavoro meticoloso e silente di asportazione.
“Ce l’hai una cinquecento lire? Passiamo al bar Natale a prenderci un estathè?”.
“Anto’, non vorrei dire, ma sei senza mutande e senza pantaloni…”.
“E mi presti la tua, di mutanda: tanto fa caldo, faccio tipo costume…”
“…”
“Oh! Alfre’! Allora?”.
“…però la prossima volta scegli verità…”.

***

La parola di oggi, "verità", ci è stata gentilmente offerta dalla Vale.
Attenzione! Il bar Natale ha chiuso circa nove anni fa: se avete voglia di estathè, non cercatelo lì.

Se vuoi anche tu una storia breve, scrivimi la tua parola via email (lasaramandra@gmail.com) o nei commenti qui sotto. 
Ti avviserò quando sarà pronta.

lunedì 12 marzo 2012

dimmi una parola. #2 "farina"


Farina.
Tra poco arriverai, vicina marocchina con le occhiaie, a chiedermene una tazza, l’ennesima. Cosa ci farai mai, con tutta quella farina, solo il tuo dio marocchino lo sa. Forse gestisci una panetteria abusiva; forse stai facendo - a mie spese -rifornimenti per il tuo segretissimo bunker antinucleare; forse ci sforni mobili. Ti immagino impastare in tinello, circondata da tavolini di pane e cuscini di pane e sedioline piccole, anch’esse di pane. Forse anche i tuoi figli sono fatti di pane.
Sempre mi suoni per una tazza di farina e io ti aspetto.
Ieri pure sei passata e io già la tenevo pronta e preparata, la tua scodella di farina, sul tavolino all’ingresso, sopra la bollette da pagare: tu hai suonato, io, senza neanche domandare chi fosse, ho aperto –tanto lo sapevo che eri tu, che arrivi sempre dopo Uomini e donne, tu-, ti ho mollato la tazza in mano e tanti saluti. Anzi, nessun saluto, per una volta.
Perché tu, quando vieni a chiedermi quel pugno di farina, tu parli, vicina marocchina. Tantissimo parli.
E io non ho voglia di ascoltare dei tuoi Omar, delle varicelle, della diarrea di Saïd, dell’assistente sociale che non ti dà la casa comunale, di Mamoud che ha sempre la febbre e chissà come mai. Che vuoi che ne sappia io, della febbre di Mamoud: non sono mica un pediatra. E non lo so dove si comprano le babbucce in cuoio a buon mercato, è inutile che tu me lo chieda. 
Che poi mi irriti indicibilmente col tuo francese da colonizzata che esce sgangherato dalla tua bocca fina impregnata di aglio e menta e penso che potresti almeno lavarti i denti anziché mangiare le ciungomme, vicina marocchina: sbaglieresti comunque i congiuntivi ma almeno non dovrei voltare il capo mentre fingo di ascoltarti.

domenica 11 marzo 2012

dimmi una parola. #1 "compagna"


“Compagna, sono il Compagno Adriano. Conosci il servizio di Doporicerca del Lavoro per i Compagni e le Compagne in cerca di un Impiego rispettoso delle proprie Inclinazioni Creative e dei Personali Ritmi Biologici alla Panetteria Occupata? Sei al corrente del nostro servizio di Doposcuola Inclusivo rivolto a tutti i figli albini dei Compagni e delle Compagne del quartiere? Noi del Nuovo Movimento Marmista-Elettricista all’Assalto riteniamo che l’integrazione delle minoranze, in un mondo sconvolto dalla globalizzazione, necessiti di iniziative come questa. Tu che ne pensi? Perché non vieni a discuterne al laboratorio Trans-azioni? Parleremo anche di come intraprendere un percorso di scoperta e riscoperta della propria e altrui vagina…”.
Sono le otto e dodici di domenica mattina. Da ormai quindici minuti, il Compagno Adriano fa inciampare le sue erre in gola, attraverso lo spioncino, gli occhiali spessi e neri, la barba rossa. Il portone devono averglielo aperto i cinesi del terzo piano: quelli aprono sempre a tutti, che dio li fulmini. La voce gli esce da un completo di velluto color salvia, coste larghe e immancabili toppe. Il termometro segna ventisette gradi. Provo nei suoi confronti un misto di repulsione e di attrazione oscura, quella riservata agli incidenti d’auto e alle malformazioni in genere. 
Sono spalmata alla porta, in mutande. Mi giro verso di te, inarco un sopracciglio.

Ecco, lo vedi? E’ per via di tutti gli Adriano e le Adriana del Movimento Marmista-Elettricista stazionanti sul mio pianerottolo la domenica mattina che io mai ti definirò compagno
Adesso mi capisci, amoremio?

***

La parola "compagna" è stata gentilmente offerta da Luca.
Nessun Compagno è stato maltrattato per la realizzazione di questo post.
Se vuoi anche tu una storia breve, scrivimi la tua parola via email (lasaramandra@gmail.com) o nei commenti qui sotto. 
Ti avviserò quando sarà pronta.


sabato 10 marzo 2012

esperimenti

A giocare a iBiglietti mi sono divertita.
Ed era un po' che non mi divertivo, a scrivere.
Allora mi sono detta: perché non ci riprovi, a scrivere qualcosa con lo stesso metodo? Perché non provi di nuovo a scrivere cosine corte, con parole di altri?
E mi son risposta ok, proviamo, facciamo un po' di esercizio.
Però ho bisogno del vostro aiuto.
Ognuno di voi mi dovrà suggerire una parola e quella sarà l'incipit di una storia/poesia/cosadiparolenonbenidentificata.
Mille caratteri o giù di lì.
Potete scrivere la vostra parola nei commenti qui sotto o su facebook, o inviandomi un' email a lasaramandra@gmail.com.
Le prime dieci parole avranno una storia assicurata.

Poi vediamo se continuo a divertirmi :)


iBiglietti


Ho partecipato a un gioco che si chiama iBiglietti. 
Ogni partecipante deve scrivere una storia piccola mille caratteri, iniziando con l'ultima parola del biglietto che lo precede.

La mia parola era "piangere" e ho scritto questo. 

Se volete giocare anche voi, dovete leggere qui.

giovedì 1 marzo 2012

AnnA e Marco

Avevamo un’Alfetta blu, avevamo l’autoradio, avevo un pugno di anni ma mi sentivo grande e bellissima, seduta davanti, mio padre che guidava e cantava sottovoce.
Il ricordo è del freddo del vetro del finestrino sulla mia fronte, il buio di fuori, filari di lampioni che corrono sulla statale tra le montagne, odore di Merit, un poco di nausea 
e le parole di questa canzone 
che mi facevano vedere tutto, 
che mi fanno vedere ancora oggi tutto, 
come allora.

domenica 26 febbraio 2012

scrittura e pensiero dislessico

Mi dicono che dovrei scrivere storie più lunghe, romanzi. Io ho sempre risposto che non ne sono capace.
Adesso però mi sono detta che le cose che non si è capaci di fare si possono, spesso, imparare.
Su consiglio di un’amica, per cominciare, mi sono guardata il videocorso di narrazione di Giulio Mozzi
E’ bravo lui, a spiegare. Ma io, alla fine della serie di video –anzi, prima della fine, alla quattordicesima puntata- ho realizzato che quelle spiegazioni - correttissime e precise- non fanno per me. 
Quando scrivo una storia, io la vedo, tutta, come un film velocissimo e compatto. Per scriverla, devo essere sufficientemente rapida da acchiapparla e sufficientemente abile da distenderla, farla piana, metterla giù in parole perché diventi comprensibile e visibile anche per gli altri.
Quel giochino lì mi diverte.
Se devo mettermi al tavolo a pensare, non mi diverto più.
Io so scrivere quello che vedo e neanche tutto, perché la maggior parte di quello che vedo va troppo veloce anche per me.
Questa cosa l’ho ripetuta più volte, consapevole del fatto che per la maggior parte delle persone queste parole non avessero senso.
L’altro giorno però ho letto un libro che mi ha chiarito le idee e mi ha fornito le parole per spiegare meglio questo mio modo di pensare.
L’autore si chiama Ronald Davis e il titolo del libro è “Il dono della dislessia” (qui ne trovate una parte ).

mercoledì 22 febbraio 2012

scaricatissimo

il Many di Barabba mi ha appena detto che "Hanno ucciso Barbapapà" è SCARICATISSIMO.
Proprio così ha detto: "SCARICATISSIMO", tutto in maiuscolo.
Io ovviamente mi sto gongolando da dieci minuti.

E ne approfitto per ringraziare tutti quelli che si sono presi la briga di leggere il mio racconto, in particolare chi, dopo la lettura, mi ha scritto per dirmi cosa ne pensava.

E' una soddisfazione grande, davvero.
Ancora una volta, un grazie.
Tutto di pancia.

saRa


sabato 18 febbraio 2012

io mi ricordo





Io mi ricordo ieri
io e te
l'ombra del vento
la casa di vetro
la luna e i falò
groppi d'amore nella scuraglia.

Io mi ricordo
il gioco delle rondini
caffè a colazione
pane nero, cioccolato
gatti neri cani bianchi.

Felicità in questo mondo
io mi ricordo.


venerdì 10 febbraio 2012

barattoli di salvataggio

[un tunnel personalissimo e personalizzabile, un tunnel per ciascuno, secondo me sarebbe un’ idea ragionevole e soprattutto salutare che dovrebbe passare la mutua, io dico, gratis, a tutti].


ma se esistono i garage, i depositi per i mobili che non ti ci stanno in casa
se esistono le cassette di sicurezza
le casseforti
per gli oggetti che possiedi e che vuoi custodire
perché non esistono dei contenitori,
dei bidoni, dei barili,
delle pochette d’emergenza
dei barattoli di salvataggio
per riporre le cose andate che vuoi dimenticare?

io, per me, questa sarebbe un’invenzione geniale
e mi affitterei un buco profondissimo e privato
un traforo del san gottardo a testa in giù
con un tappo e la combinazione.
e lì sotto
sotto l’erba, i sassi, il fango e il ghiaino,
lì sotto, nelle profondità del niente
del silenzio antichissimo dei dinosauri
e di quello saggio dei lombrichi
io moltissimo seppellirei
e dimenticherei
senza insonnie, angina pectoris
dubbi e malinconie.

poi, ogni tanto, girerei il tappo
a far prendere aria ai ricordi,
rinfrescare.
ma raramente, molto raramente,
ogni due o tre ere geologiche, diciamo,
a piacere mio.

non che vengo invasa dalle assenze
dalla mancanza che spezza la schiena e il respiro
di queste genti andate all’improvviso
in un altrove in cui non ci sono io.


lunedì 6 febbraio 2012

è nato!









il mio ebook è nato per davvero.
lo scarichi qui, sul sito di Barabba, gratis.


questo dovrebbe essere il luogo e il momento giusto per ringraziare, festeggiare, condividere l'emozione. e invece mi succede che ho solo una domanda in testa e sento che è giunto il tempo di trovarle una risposta.
metto in stand-by champagne e fuochi d'artificio per un po': prima La risposta, poi tutto il resto.

ma tanto io lo so che mi capite.

domenica 5 febbraio 2012

giovedì 2 febbraio 2012

Donne di parola





Chiedi alla polvere:
ci sono cose che fanno paura,
molto prima dell'amore;
la voce a te dovuta
io e te
[molto forte, incredibilmente vicino].

Credetemi, c'ho provato.


Se hai bisogno, chiama.


domenica 29 gennaio 2012

a mia sorella arianna

di un amore primitivo ti amo, sorella mia
la più piccola,
di un amore di cani io 
ti amo.

amore
che nella notte veglio
riparo sotto la tempesta
proteggo
dalle forze centripete
dagli scossoni del tempo
dai millemila chilometri
nel vento.

sorella mia
ti tengo
in un angolo oscuro di me
un origami ripiegato 
a quadratini e a zigozago.

ti tengo, sorella mia
in un cantuccio buio 
che nel suo interno fa luce a spalancarsi
e giardini
e alberi ritti e tonanti
sequoie
e stormi di storni
sardine a banchi
farfalle monarca in migrazione
e oche, anch’esse in migrazione
la piazza djemaa el fna
hagia sophia
il muro di berlino
i libri già letti
i libri da leggere
le ossa 
i morti
i pesci volanti
lo sprofondo 
noi, femmine
noi, resistenti
l’acqua
i semi
le radici
il vino buono.

sorella mia
la più piccola
ti tengo.
sorella mia
ti amo, io.

mercoledì 18 gennaio 2012

io che sono una persona ansiosa

facciamo che io conoscevo una persona
e la consideravo mia amica
e facciamo che questa persona 
non mi considerava amica;
facciamo che questa persona partiva
e io che sono una persona ansiosa mi preoccupavo
e volevo sapere se era arrivata a casa
se il viaggio era andato bene
se sull’aereo le avevano dato il tramezzino
e se il pane del tramezzino era ghiacciato
come è sempre il pane 
dei tramezzini sugli aerei
o se le avevano offerto un cornetto, 
caldo, magari, alla crema;
facciamo che io le volevo domandare
se dagli oblò aveva visto le nuvole 
a gomitoli
o se il cielo era spianato di blu 
dipinto di blu;
facciamo che io mi chiedevo 
se non l’avevano presa in ostaggio gli pterodattili
se non era rimasta vittima 
delle cavallette d'egitto
e di tutte le altre nove piaghe
ma siccome non lo sapevo
non riuscivo a dormire
né a fare il sudoku 
né la pasta coi ceci
nemmeno una tisana, niente.

facciamo che alla fine
io scoprivo che tutto era andato perfetto
ed eravamo felici
e diventavamo amici per davvero
perché se no questo gioco
era un gioco che non fa divertire
anzi, che barba di gioco
era questo, se no.


domenica 15 gennaio 2012

come un passero che non sa volare

- guarda che non serve, basta premere invio!
- sì, sì, lo so! non sono mica stupida, ho capito!
- e allora perché lo fai?
- perché mi sembra che arriva prima, così…
- ma mamma…
- sì, ho capito. non lo faccio più.

sono le otto e venti di mattina ed è il mio compleanno.
mia nonna è in camicia da notte, il vecchio nokia 3310 in mano.
mia madre è quasi pronta per uscire.
io non sono lì con loro ma, siccome sono un narratore onnisciente, vedo tutto e so anche cosa pensano mia madre e mia nonna.
- adesso vai?
- sì, mamma, adesso vado.
- dai che chiudo.
- sì…posso avere il tempo di mettermi la giacca?
- sì, ma vai.

mia madre esce, mia nonna chiude la porta - giro di chiave sopra, giro di chiave sotto.
poi guarda nuovamente il telefono -stavolta con gli occhiali da mosca- e scrive:
“auguroni di buon compleanno. beata te che ne hai pochi. segue lettera”.

poi va in cucina 
apre la portafinestra
         -  fuori fa meno tre
mia nonna è in camicia da notte
le gambe nude
i piedi nudi
va sul balcone
il cellulare tra le due mani
preme invio e
contemporaneamente
fa questo gesto

come di lanciare 

           un passero che non sa volare

come di spedire 
                            un piccione viaggiatore

come di spruzzare 

                                          acqua

       della piscina, acqua

                                         di mare

dal basso verso l’alto:

                 hop! 

                 hop!

                 hop!

tre volte 
per essere ben sicura
che il messaggio
sia partito
e arrivi
veloce
presto
ancora prima
da me.

mia mamma dalla strada la vede
scuote la testa
mia nonna si stizzisce
fa spallucce
dice 
col mento
“a me, mi sembra che arriva prima, così”.

poi 
chiude la finestra
si siede sulla sedia piccola rossa
si stropiccia gli occhi
e aspetta
che io le risponda.

giovedì 12 gennaio 2012

genti di desiderio (seconda parte): #1= - #1

il giochino è che a ogni gente di desiderio ne corrisponde un' altra con desiderio di forza uguale e contraria.
quindi dovete andare indietro a cercare, per ogni numero, il suo gemello uguale e diverso.
la poesia che segue è la risposta a questa.


*

il corpo mi fa un cerchio
impenetrabile,
un carciofo.
e tu di dietro,
che ti sento i respiri come le onde,
come le tovaglie stirate
- regolari, piane -
non smuovi.
allunga la tua mano, sentimi:
una a una le mie vertebre
implorano le tue carezze,
milioni
centinaia di migliaia
e se non milioni almeno mille
quattrocentododici
trentasette
undici
tre
una.

ma accarezzami,
ora
centimetro per centimetro
verticale.